14 luglio 2008
Sopra i tetti di Hampi
India, Stato del Karnataka, Hampi, Virupaksha temple, agosto 2006
Il bus percorreva la strada da un tempo infinito. Avevamo arrancato su salite di fango e buche, fra le pozze d'acqua riempite dal monsone. In cima alla salita, due gigantesche carcasse di pullman, distese sul fianco, mostravano le ruote senza più copertoni, mangiate dalla ruggine. Li guardavo con una punta di timore, pensando a come sarebbe stato il resto della strada. Il pullman oscillava violentemente, cadendo nelle buche profonde e tirandosene fuori, ma Zamir sembrava non accorgersene neppure. Zamir aveva forse dieci anni e sua sorella Anjun ancora meno. Ci spiavano da dietro il loro sedile, probabilmente chiedendosi come eravamo finiti su quella corriera che viaggiava ininterrottamente fra Panjim e Hampi. Era bastato un occhiolino per conquistarli: non erano capaci di strizzare un solo occhio e così ci chiamavano in continuazione perchè insegnassimo loro come si faceva o per farglielo ancora. Tutti intenti a fare boccacce neppure si accorgevano del passare del tempo. Infine Zamir e Anjun scesero e noi andammo avanti. Il viaggio durò 18 ore, ma finalmente arrivammo nel paese vicino ad Hampi in cui l'autobus si fermava. Come sempre fummo avvolti da uno stuolo di taxiwalla e autisti di risciò. Come al solito era difficile scegliere chi avrebbe potuto fare l'ultima corsa della sera. Alla fine scegliemmo un risciò e un ragazzo giovane e sveglio. Ci portò ad Hampi che era già buio pesto, ma l'ingresso fra i templi e le rocce rotonde illuminate da fili di lampadine fu lo stesso emozionante. Ai piedi dei templi la gente viveva come se quello fosse un posto qualunque, ma era chiarissimo che non lo era, era evidente. C'era un Dio in quel posto, c'era una magia che lo poneva fuori dal mondo. Trovammo posto nell'unica guesthouse che avesse ancora una stanza col bagno. Era dalla mattina, da quando eravamo partiti, che non mangiavo. Completammo in fretta le formalità di registrazione, ma quando la proprietaria ci disse che i ristoranti erano già chiusi per il coprifuoco delle 10, mi sentii veramente persa. Lasciammo lì tutto e corremmo al primo ristorante che trovammo. Chiuso... Dall'interno si sentivano le voci di chi, arrivato prima di noi, ancora poteva mangiare (infatti il coprifuoco prevedeva che non si potessero accogliere nuovi clienti dopo le 10, ma chi era già nel locale poteva starci fino alla fine della sua cena). Col nostro scarsissimo inglese cercammo di spiegare che eravamo appena arrivati e morivamo di fame. Il proprietario si mise a ridere e con lui un ragazzo col quale avremmo fatto conoscenza nei giorni che seguirono: "Ah! The jumping bus!". E noi, senza dubbio alcuno: "Sì, proprio quello!!". Certo e come poteva chiamarsi altrimenti quel pullman? In cinque minuti ci prepararono una cena, ce la chiusero in due piatti di metallo e ce la consegnarono: non potevano farci entrare, era il massimo che potessero fare per non rischiare multe. Li prendemmo promettendo che il giorno dopo saremmo tornati a restituire i piatti e tornammo alla guesthouse. Sopra le camere, con una scala, si saliva sul tetto. Ci sedemmo su una panca: davanti a noi si ergeva il meraviglioso tempio di Virupaksha, con il suo altissimo gopuram illuminato. Il momento era magico: il posto, le stelle sulla testa, il relax dopo il lungo trasferimento, la vista mozzafiato... Aprimmo religiosamente i nostri piatti. C'erano delle penne al pomodoro!
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
4 commenti:
che bel racconto, e bel ricordo Hampi! non posso pensarlo dopo un monsone, lo ricordo con il sole dolce della sera di gennaio :) bellissima foto!
Uè, ma sei proprio tu!!!???
Benritrovata!
Vedo dalla foto che non sei cambiata niente...
:)))
Jean, la foto è del raduno di maggio di 3 anni fa. Forse è l'ora che l'aggiorni!! Son proprio contenta!
Belli i tuoi racconti!
Aggiorna, aggiorna...Sono sicuro che sei sempre uguale...
:)))
Posta un commento