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Cambogia, Phnom Phen, Prigione S21, agosto 2005
Ho sempre avuto dei problemi a visitare quei luoghi in cui sono accadute cose terribili. Ero solo una ragazzina quando mi trovai con i miei genitori davanti ai cancelli di Mathausen e non riuscii a varcare la soglia. Allo stesso modo sono rimasta impietrita quando sono entrata, solo due anni fa, nel cortile della prigione S21.
Le proporzioni del genocidio che è accaduto in Cambogia fra il '75 e il '79 non sono molto conosciute qua da noi, ma furono terribili. E la strage avvenne con modalità che farebbero raccapricciare anche i più avvezzi alle scene dei film dell'orrore. Pochissimi di coloro che finirono nelle mani dei Khmer rossi riuscirono a sopravvivere e ancora oggi quel periodo è una ferita sanguinante nel cuore della gente, che non ne vuole parlare. I carcerieri erano bambini o adolescenti, perchè più facili da plagiare. Una volta fatto loro il lavaggio del cervello, quei ragazzini non avvertivano alcuno scrupolo morale, nulla che potesse impedire loro di imprigionare, torturare e uccidere chiunque, compresi i membri delle loro stesse famiglie. La prigione più temuta era la S21, situata a Phnom Phen ed era stata ricavata da una scuola. L'arrivo è sconvolgente. Chi è stato in oriente conosce la tipica struttura a ferro di cavallo delle scuole, costruite in genere su due piani, con aule che si affacciano sul cortile interno con un terrazzo che gira intorno al piano. La scuola di Tuol Sleng è esattamente come le altre, con un cortile interno e delle piante. Ma in mezzo al cortile si trovano 14 tombe. Sono quelle degli ultimi prigionieri uccisi a Tuol Sleng: l'esercito vietnamita era già entrato a Phnom Phen, ma lì ancora i carcerieri stavano facendo il loro lavoro. Li trovarono morti, tutti e 14, con le caviglie strette nei ferri, legati a letti come quello della foto, che riprende una delle celle. C'erano poi lunghi corridoi, dove i prigionieri (e ce ne sono passati migliaia) erano legati ad un'unica sbarra di ferro. Una caviglia era infilata in un ferro a U che poi era bloccato alla sbarra. Stavano stesi a terra, ammassati l'uno sull'atro, finchè un carceriere bambino non veniva a prenderli per torturarli. Come i nazisti, i Khmer Rossi hanno fotografato le persone che avevano catturato, alcune con orrendi "prima" e "dopo" le torture. Queste foto sono visibili al piano superiore della prigione, in una galleria di visi straziante, dove non è raro trovare anche bambini.
Lo scorso anno, finalmente, è stata composta la giuria che dovrà giudicare e condannare chi ha commesso tali atrocità e nell'ottobre e novembre di questo anno sono arrivate le prime condanne. Sicuramente è una condanna che si è fatta troppo attendere. Sicuramente pochi ormai ricordano, pochi sanno, pochi vogliono sapere. Ma, per chi non volesse far finta di niente e avesse desiderio di conoscere i fatti, Feltrinelli ha da poco fatto uscire un libro e un DVD intitolati "S21. La macchina da morte dei Khmer Rossi". Adatto sicuramente a chi più di me ha il coraggio di guardare.
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