08 giugno 2010

L'ultimo saluto


Indonesia, Sulawesi, Tana Toraja, Agosto 2009

La morte per i Toraja non è un evento istantaneo. Solo la sepoltura allontana definitivamente lo spirito del defunto dalla casa e dal villaggio. L'ultimo giorno del funerale, il quarto, dopo che il defunto è stato festeggiato davanti agli ospiti e onorato con l'uccisione dei bufali, il corpo viene finalmente sepolto. A questa cerimonia non molti riescono a partecipare. Noi abbiamo avuto questa fortuna e, doppiamente fortunati, siamo anche riusciti a partecipare ad una sepoltura incredibilmente spettacolare.
Tutto è cominciato con una messa. Sì, proprio una messa, con sacerdote e croce sulla bara, perchè in effetti la maggior pare dei Toraja è Cristiana protestante. I riti animistici si sono perfettamente sovrapposti alla nuova religione e così le due fedi "convivono" in un mix incredibile. I parenti più stretti, i membri del villaggio si radunano intorno alla bara, coperta di stoffa rossa e petali di fiori. Il sacerdote officia la messa e poi chi vuole parla ai presenti (immagino che racconti qualcosa che abbia a che fare con il defunto, come sarebbe da noi). Ma quando tutto sembra essere finito, ecco che invece, tutto ha inizio...
La bara viene issata su una portantina, pesante forse qualche quintale, fatta di legno e con la foggia di una casa. Sopra viene issato il tetto colorato, uguale a quelli lunghi e colorati delle case. Poi gli uomini e i ragazzi, tutti vestiti di nero, afferrano i pali e cominciano il trasporto.



Nel nostro caso, il luogo della sepoltura era lontano alcuni chilometri e per percorrerli abbiamo impiegato ore. Tutto intorno a noi il corteo cantava e ballava. Gli uomini bevevano vino di riso (una vera schifezza dal sapore di aceto) e nel frattempo facevano ballare e oscillare ovunque la portantina. Con vero e proprio impeto la facevano girare, urlando e ridendo. Ci sembrava di essere capitati in mezzo a un rituale folle, ma in realtà quegli uomini dovevano far allontanare lo spirito da casa, fargli perdere l'orientamento, in modo che non potesse più tornare indietro. Quello doveva essere il vero, ultimo addio: lo spirito ormai purificato dalla cerimonia funebre, doveva andarsene per sempre. Infatti i figli del defunto piangevano quasi silenziosi, nonostante gli anni fossero passati da quella che per noi sarebbe stata la morte del loro familiare.
Durante una lunga salita, i ragazzi si rinfrescavano lanciandosi addosso bottiglie d'acqua aperte che li bagnavano completamente. Il corteo poi si fermò in uno spiazzo all'ombra e al verde. Le donne più anziane tirarono fuori dai loro copricapi le attrezzature per preparare una mistura di foglie da masticare: pestavano certe foglie verdi, tenute in una borsetta apposita, dentro ad un piccolo mortaio allungato e poi si mettevano i vegetali fra la gengiva e il labbro inferiore, succhiandoli con piacere.
Cibo e bevande erano offerti a tutti i presenti e anche le immancabili sigarette.
Poi il corteo riprese per compiere il suo ultimo sforzo. L'ultima salita era così ripida che noi, senza alcun peso da trasportare, riuscimmo a percorrerla con fatica. Arrivammo ad una ripida e altissima parete di roccia. C'erano delle aperture nella parete. Dalla più bassa si affacciavano dei ragazzi con in mano un teschio. Erano le sepolture familiari. La più bassa era stata aperta per facilitare la salita del feretro fino alla buca più in alto. Saranno stati almeno 25 metri.



Una lunghissima pertica di bambù fu appoggiata al muro di roccia e un uomo seminudo salì fino in cima. Poi un altro si fermò a metà e il feretro cominciò ad essere tirato in alto. Si aiutavano con delle corde, ma lo sforzo degli uomini era incredibile. Senza alcun appiglio se non i propri piedi avvinghiati al bambù, l'uomo afferrò il feretro e lo issò. Dall'alto, l'altro uomo lo tirava a sè fino a che, con un ultima smorfia di fatica la lunga bara rossa entrò nella fenditoia.
Adesso era finita. Finita davvero e per sempre.

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