17 dicembre 2009

Il primo passo


Indnesia, Sumatra, Bukit Lawang, agosto 2009

Quando misi il piede fuori di casa, non c'era nulla di strano. Tutto era come al solito. Percorrendo la solita strada, scesi verso la stazione, come ogni giorno. Salutai le solite persone, i soliti amici. Dove vai? Parto. Stavo facendo il primo piccolo passo, ma era uguale ai mille altri passi di ogni giorno. Solo che quel passo mi avrebbe portato lontano. Non saprei come descrivere questa strana sensazione: che la normalità dei gesti racchiudeva invece la bellezza della partenza, l'emozione del "stasera chissà dove sarò". E poi ancora: la stazione di Camogli, le chiacchiere mentre aspettavamo il treno, gli amici incontrati per caso. Il solito treno che parte in ritardo, il solito tragitto fino a Genova. E' solo entrando in aeroporto che l'aria cambia, che arriva la consapevolezza.
E poi tutto accelera e così mi ritrovo a scrivere la prima frase sul mio quaderno intatto: "Quanto tempo ci vuole fra la stazione di Camogli e la giungla di Sumatra?". Assurdo e azzardato come collegamento, se non fosse che sono sotto una tenda, in mezzo alla giungla, nel buio più profondo, con una ranocchia minuscola a far da guardia contro le zanzare.
E' stato un attimo arrivare a Jakarta già con il programma di viaggio sconvolto dalla decisione di non restare lì, ma di andare a Sumatra. E poi, arrivati lì, andar via di nuovo fino a Bukit Lawang, a nord. Il pullman con la ruota di scorta al posto dei passeggeri e i ragazzi che salgono sopra a vendere cibo mi danno il benvenuto in Asia. Adesso lo so: sono arrivata. Due ragazzi con una pseudo acconciatura rockettara salgono a suonare la chitarra. Follie che solo qui si trovano. Un uomo ci si siede accanto e comincia a parlare. Poi ci racconta di essere una guida del parco naturale di Bukit Lawang. Piano piano si fa avanti con i suoi veri scopi, ma del resto ha tempo di farlo con calma: il viaggio dura 4 ore. Alla fine so per certo che non c'è modo di scampare alla gita nella giungla e così mi rassegno. Non mi sento particolarmente in forma per affrontarla così di colpo: dalla scrivania ai sentieri... Eppure la mattina dopo mi ritrovo di partenza con uno zaino che contiene poca biancheria di ricambio, un Kway, la macchina fotografica e una bottiglia d'acqua. Per sette/otto ore ci ritroviamo a seguire la nostra guida, Sunny, che con allegria ci porta in mezzo alle liane, alle ragnatele giganti e su e giù per i sentieri, ma anche molto fuori dai sentieri, per cercare gli oranghi. E gli oranghi li troviamo, anche molto vicini, grandi, belli, con i loro sguardo intenso.
Alla fine le gambe mi tremano per la fatica. Le ginocchia non mi reggono più. Se non arriviamo all'accampamento sento che comincerò a scivolare sui sentieri fangosi. Mi reggo alle liane e alle radici degli alberi fino a che, finalmente arriviamo al fiume. Qui è già pronto l'accampamento. Insomma, è pronto un tendone posato su dei pali. Sotto i tappetini, simili a quelli per la ginnastica, saranno i nostri letti. Un uomo ci ha preparato il tè e sta cuocendo la cena su un fuoco. Appena scende il buio, al lume di piccole candele, lì, in mezzo al nulla, mangiamo riso, verdure e pollo. Poi ci raccontiamo storie di giungla e di animali. Sunny li imita tutti. Quando si spengono le risate e le candele, comincia l'impresa più dura: dormire per terra!


Indonesia, Sumatra, Orango allo stato libero, agosto 2009

07 dicembre 2009

Ancora qui.


Bali, Goa Lawah, agosto 2009

Ci voleva il ponte e le giornate di pioggia per farmi tornare qui. Il tempo mi è scappato senza che me ne accorgessi e le mie pagine continuavano a restare vuote.
I saluti ad agosto e poi... siamo già a dicembre.
Che dire adesso? Le impressioni si sono maturate, le immagini fanno già parte dei ricordi. Però sono tutte lì, chiarissime, forti. Parlano di visi, di storie strane, struggenti, di popoli lontani, di abitudini diverse, di linguaggi nuovi e antichi. Hanno il sapore della scoperta. Ed io spero di riuscire a raccontarvela, almeno un pò.

06 luglio 2009

Teej, la festa del monsone


India, Bundi, Teej, agosto 2009

Ho letto su alcuni resoconti di viaggio, girando in rete, che Bundi sarebbe una località orribile, piena si smog, di camion e di inquinamento. In effetti l'arrivo a Bundi non è dei più rassicuranti. Venendo da Chittor, la strada sembra breve: solo 150 km. In realtà non si arriva mai. Fra strade deserte e sabbiose, lavori in corso, tornanti e buche... ci mettemmo ben 6 ore per percorrerli, tanto che dalle due del pomeriggio arrivammo solo alle 8, con il buio. In effetti molte volte pensai che il nostro autista, mai stato troppo sveglio, avesse perso la strada e ci avese portato chissà dove.
Quando poi cominciammo a vedere una lunga fila di camion con le loro lucine, bè, allora fui quasi certa che fossimo finiti nel posto sbagliato. I camion non finivano mai, erano puzzolenti, polverosi: pareva che tutti i trasportatori del Rajasthan si fossero dati appuntamento là. Su questo, dunque, avrei potuto dare ragione al viaggiatore americano che aveva scritto di Bundi.
Poi però la strada si divise, superò un ponte e la fortezza apparve in cima ad un'altura. Era bellissima, affascinante, anche nella scarsa illuminazione notturna.
Decidiamo di pernottare in una Haveli nel centro, ovviamente raccomandata dalla Lonlely Planet (Haveli Braj Bhushanjee), ma una folla incredibile gira per le strade e tutti ci fanno cenno che non possiamo passare. Il notro autista sembra aver capito, ma, dal momento che non riesce a dire una sola parola in inglese, siamo noi che non riusciamo a renderci conto di cosa accada. Scendiamo e decidiamo di tentare a piedi. Facciamo appena in tempo ad arrivare all'Haveli, prendere la stanza e tornare indietro a recuperare un minimo di bagaglio, giusto l'indispensabile, prima che il passaggio sia bloccato del tutto. Per quella sera non possiamo passare perchè è la festa di Teej.


India, Bundi, Teej, agosto 2009


Ho letto che la festa si tiene anche in Nepal e che prende il nome da un piccolo insetto rosso, che esce dal terreno durante il monsone. Tipica di Jaipur, ma evidentemetne festeggiata anche in altri luoghi del Rajasthan, Teej dura due giorni. E' una festa dedicata alle donne, perchè celebra Parvati, moglie di Shiva, e il monsone che benedice il suolo con l'acqua. Le donne sposate pregano per i loro mariti, le giovani per avere uno sposo.


India, Bundi, Teej, agosto 2009


Per due sere una processione di carri sfila lungo le strade, mentre la gente guarda dalle finestre, da sopra i muri, i tetti, le terrazze. Gli idoli, in special modo Shiva e Parvati, sono portati in processione, mentre su altri carri ci sono ballerine, ragazzini vestiti da divinità, oppure rappresentazioni di demoni che spaventano i bambini.
L'atmosfera è di festa e allegria, un pò carnevalesca. Tutto dunque, tranne che quella inospitale cittadina di cui avevo letto.
A parte tutto, Bundi è bellissima anche senza Teej.


India, Bundi, Teej, agosto 2009

25 giugno 2009

Temporale sul mare


Camogli, Dalla mia solita finestra, giugno 2009

Guarda caso avevo la macchina fotografica a portata di mano. Guarda caso anche il cavallettino quello scarso, quello che non pesa nulla e la macchina cade in avanti. Guarda caso, c'era anche la fortuna che era notte e il temporale veniva dal mare.
Ok, mi sono bagnata stando alla finestra. D'accordo, sembravo scema a reggere il cavalletto sul davanzale, terrorizzata dal fatto che il vento lo portasse giù e la macchina si bagnasse in maniera grave, però.... vuoi mettere la soddisfazione di essere riuscita a "prendere" i fulmini?

12 giugno 2009

Erensler Narghilè


Istanbul, Erensler cafè, giugno 2009

Amo molto la fotografia. Ed in effetti di solito ho solo voglia di pubblicare qualche nuova foto, ma ne ho pochissima di scriverci sotto qualcosa. E' così che molte volte penso che questo blog non sia nè carne nè pesce. Troppe parole per un blog fotografico, troppo fotografico per essere un blog di lettura. Di fatto, io mi limito ad accompagnare le immagini con due righe di spiegazione. Ci sono fotografi bravissimi che non hanno bisogno di spiegazioni sotto le loro foto, perchè le immagini bastano da sole a spiegare tutto. Ed a questo proposito, sto aggiungendo molti link ai siti di meravigliosi fotografi che vi invito a visitare, per scoprire la magia di tante immagini.
Io non credo di arrivare a tanto. Quindi ecco che due righe ci vogliono. Il racconto si dipana, poi, immagine per immagine. L'una racconta l'altra.
Fra le mie piccole foto, fra quelle che forse non dicono nulla, prese da sole, c'è questa. In bianco e nero, perchè i colori erano superflui e comunque non protagonisti. In bianco e nero anche perchè non è collocabile in un dato momento: questo è un attimo che è così oggi come poteva esserlo tanti anni fa. I toni scuri sugli angoli della foto accentuano l'attenzione di chi guarda sul volto dell'uomo che fuma. Ma l'uomo che fuma è assente. Non vede chi lo sta guardando (me che fotografavo) troppo preso dal gusto del tabacco e di chi sa quale altra miscela, troppo rapito nei suoi pensieri, unica macchia bianca in questa scena scura.

09 giugno 2009

Istanbul, il più vicino luogo lontano


Istanbul, Yeni Camii, giugno 2009

Istanbul è vicina: neanche tre ore di volo. Ma è già un altro mondo. Quelle tre ore bastano per sentirsi altrove e trovare le atmosfere di un altro mondo, sentire i muezzin scandire le giornate con i loro richiami alla preghiera e vedere le persone che si radunano per il Namaz; le donne con il velo in testa, le donne con il volto coperto, le donne che invece rifiutano il velo; gli studenti universitarei che discutono ai tavolini dei cafè all'aperto, sotto l'ombra di alberi giganteschi, davanti ad un té fumante; i disegni intricati di fiori e di geometrie che adornano i muri delle antiche moschee, vestigia di tempi antichissimi ma anra simbolo di unione e di vita. Istanbul è un gran miscuglio di oriente e occidente, che però mantiene una sua fortissima personalità e una grande carica. Una città piena di fascino, che fa innamorare di sè al primo assaggio.

14 maggio 2009

Aung San Suu Kyi


Birmania, Mandalay, Nella piccola casa dei Mustaches Brothers, agosto 2007

Stamani Aung San Suu Kyi è stata nuovamente arrestata. Figlia del Generale Aung San, considerato il liberatore della Birmania dal dominio britannico, premio Nobel per la pace nel 1991, fondatrice e leader della Lega Nazionale per la Democrazia, partito che si ispira ai principi della non violenza e del rispetto dei diritti umani, Aung San Suu Kyi ha vissuto e studiato in India e in Inghilterra. Nel 1988, decise di tornare in Myanmar per accudire la madre in gravi condizioni di salute, ma fu subito messa agli arresti domiciliari con la concessione della libertà, se avesse accettato di lasciare il suo Paese. Aung San Suu Kyi rifiutò, ben sapendo che, se avesse accettato, non avrebbe mai più potuto far ritorno.
In seguito ai movimenti popolari del 1988, la giunta militare decise di indire delle elezioni politiche, che si svolsero nel 1990. Aung San Suu Kyi le vinse in maniera schiacciante, tanto che avrebbe dovuto diventare il Primo Ministro birmano. Ma ovviamente la Giunta non lo avrebbe mai potuto permettere, ed infatti, con un colpo di mano, riprese il potere sul Myanmar, nullificando il risultato elettorale e ponendo di nuovo Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari.
Nel 1995, gli arresti furono revocati, ma lei rimase in uno stato di semi libertà, senza poter lasciare il paese e senza poter vedere i suoi familiari. Non le fu concesso neppure di poter tornare dal marito, quando a questi fu diagnosticato un tumore, perchè se avesse lasciato il Paese non le sarebbe stato concesso il visto per il rientro. Il marito morì due anni dopo.
Nel 2003, a bordo di un convoglio con molti attivisti della Lega, subì un attentato. Molte persone morirono, ma lei riuscì a salvarsi. Fu però nuovamente arrestata e messa ancora una volta agli arresti domiciliari. Da allora gli arresti si sono protratti fino ad oggi, nonostante le pressioni internazionali e le speranze della sua liberazione che erano circolate all'indomani ella rivolta dell'ottobre 2007.
Sembrava che Aung San Suu Kyi sarebbe stata liberata entro breve, ma è di oggi la notizia del suo nuovo arresto a causa, pare, della violazione degli arresti domiciliari per aver ospitato un americano che avrebbe raggiunto la sua abitazione, attraversando a nuoto il piccolo lago sul quale si affaccia la casa, a Rangoon.

11 maggio 2009

Le donne Padaung


Birmania, Lago Inlè, Donna Padaung,agosto 2007

Durante il nostro viaggio in Birmania, abbiamo passato alcuni giorni sul lago Inlè, nello stato Shan. Lo stato Shan è abitato da genti di diverse tribù ed etnie, quali gli Intha, gli Shan, i Pa-Ho, i Padaung. Durante la visita del lago con la canoa, una delle visite imperdibili (nel senso che le guide fanno di tutto per portarti lì e non c'è verso, ci devi andare) è quella alle "donne giraffa", bruttissimo nome per indicare le donne Padaung che hanno ancora l'uso di allungare il collo con anelli di metallo. Con la mia solita mentalità occidentale, ero piuttosto sconvolta all'idea che si facesse questo ancora oggi a delle giovani donne, per non dire a delle bambine. E davvero mi dava fastidio che alcune di queste donne fossero, per così dire, "mese in mostra" in una specie di negozio di souvenirs, dove tutti i turisti venivano portati a vederle mentre tessevano le loro tele.


Birmania, Lago Inlè, Donna Padaung, agosto 2007

Da qualche giorno, però, ho iniziato a leggere un libro che sta cambiando (almeno parzialmente, perchè continuo a pensare che sia orrendo il fatto che vengano mostrate come animali in uno zoo) il mio modo di vedere le cose: "Il ragazzo che parlava col vento". L'autore, Pascal Khoo Thwe, è un uomo di etnia Padaung, un esule, che ha partecipato alla rivolta del 2007, riuscendo a salvarsi. Nelle prime pagine egli racconta la sua infanzia nel villaggio, nella grande casa dove le nonne erano le regine indiscusse, narratrici di storie, padrone della casa, personaggi meravigliosi con i colli lunghissimi. E lui spiega la loro incredibile tradizione:
"Gli anelli sono formati da una lunga spirale fatta da una lega di argento, ottone e oro. Solo le ragazze nate in giorni di buon auspicio della settimana e mentre la luna sta crescendo vengono scelte per indossarli. Queste ragazze iniziano a portarli fin dall'età di cinque ani, quando il collo vien inanellato solo per poco tempo al giorno. Man mano che crescono di età, si aggiungono altri anelli. Gli anelli vengono cambiati quando si sposano e vengono aggiunte spirali più lunghe - una sopra e una sotto quella principale. (...)
Le nostre antenate ci permettevano di toccare la loro "armatura" quando eravamo ammalati. Si potevano toccare gli anelli solo per attingere la loro forza magica - per curare una malattia, per benedire un viaggio. Erano come una teca sacra portatile di famiglia. Si tratava di una pratica pù antica del buddhismo, ma che fu assorbita dalla religione successiva. Le donne infilavano anche del danaro fra i loro anelli. Per noi bambini era come camminare fra gli alberi di Natale, colmi di tesori di famiglia e di poteri miracolosi. (...) Esse indossavano tuniche bianche e gonne nere con fodere rosse e avvolgevano le loro teste in fasce rosa. Tessevano lenzuola, vestiti, gonne, teli e cose simili su un telaio tradizionale.
Il collo di nonna Mu Kya era lungo più di trenta centimetri. Aveva impiegato un paio di giorni prima di essere in grado di sostenere la sua testa dopo aver deciso di togliere gli anelli per sempre. Le sono state fatte speciali camicie con colletti molto alti. Eravamo soliti prenderla in giro - e adularla - dicendo che Elvis Presley aveva chiaramente copiato il suo stile
".


Birmania, Lago Inlè, Bambina Padaung, agosto 2007

03 maggio 2009

Legami e ricordi


Firenze, Papavero, maggio 2009

La mia nonna aveva una passione per i fiori. Quando ancora abitava in città, in un palazzo anonimo, davanti alla sua bottega, il suo piccolo terrazzo era l'unica macchia di colore in tutta la strada. Riusciva a farci entrare di tutto in quei due miseri metri quadri di spazio e tutto fioriva abbondantemente.
Quando i miei nonni lasciarono la bottega, vennero a vivere con noi, in un piccolo appartamento accanto al nostro, ma con un grandissimo giardino intorno. Fu allora che mia nonna si espresse al meglio. Sotto le sue cure fiorivano e crescevano le più belle azalee e i più rigogliosi rododendri. I vasi erano sempre colmi di fiori variopinti e le rose fiorivano da maggio ad ottobre. Aveva un suo spazio per le piante malate, dove le curava, dove seminava in piccoli vasetti, dove metteva le talee a fare le radici. C'erano sempre bottigliette di vetro scuro con dentro rametti di oleandro, messi nell'acqua a radicare; e le camelie, che amavano l'ombra, lì erano accudite.
Non c'era ora del giorno che non la potessi trovare a staccare le foglie secche, estirpare le erbacce, eliminare i fiori appassiti.
E seguendo lei ho imparato i nomi delle piante, a contare i nodi dei rami per trovare il punto in cui vanno potati, a distinguere la terra giusta per questa o quel tipo di pianta.


Firenze, mostra dei fiori, papavero in boccio, maggio 2009

Quando ero piccola, lei mi portava tutti gli anni alla mostra dei fiori che si tiene a Firenze dal 25 aprile al 1 di maggio. Un tempo era tenuta in piazza della Signoria e ricordo ancora che mi faceva scegliere ogni anno una pianta tutta per me. Una volta scelsi un'azalea rosa e bianca, poi venne il turno della rosa nera, della margherita, del rododendro color crema.
Poi crebbi e lei imbiancò. Fu così che le parti si invertirono ed ero io a portarla alla mostra, che nel frattempo si era spostata in P.zza SS. Annunziata, e poi al Parterre. Per lei era una festa, più grande che il Natale.
In seguito, non ho mai smesso di andarci, neanche quando lei non è più potuta venire. E poi ci ha lasciato.
Solo il trasferimento a Camogli mi ha infine impedito quell'appuntamento, ma provavo una punta di nostalgia ogni anno, quando arrivava il 25 aprile.
Quest'anno, per una fortunata coincidenza, sono potuta tornare. Ormai la mostra si tiene ai giardini dell'Orticultura da diversi anni, in un un parco bellissimo. Girare di nuovo tra quei petali, quei colori, quei profumi, mi ha emozionato più di quanto potessi pensare. Mi sentivo felice, come da bambina, accanto a lei.


Firenze, mostra dei Fiori, maggio 2009

28 aprile 2009

La famiglia e l'ospitalità



Quello che segue è un altro dei racconti di viaggio di Consuelo, che ancora una volta ci porta in Vietnam. Non voglio aggiungere altro, solo: buona lettura.

"Dicembre 2003. Vietnam del Nord.
Lungo uno dei percorsi del nostro “mototour vietnamita” ci fermiamo in un villaggio a salutare la “seconda famiglia” (lui la chiama così’) della nostra guida. Abitano in una di quelle tipiche case vietnamite a palafitta, con il sotto ampio dove ci si tengono gli animali, dove si chiacchera mentre si lavora al telaio, dove ci si riposa quando fa molto caldo, dove i bimbi giocano. Sopra è un grande locale unico con il pavimento di bambù talmente sottile che cerco di camminare sopra le travi per la paura di sfasciare il pavimento e ritrovarmi nella mangiatoia dei maiali. In un angolo il focolare, nell’angolo opposto un cesto di vimini appeso al soffitto che funge da culla per un piccolo nato da poco. La giovane madre cucina o ogni tanto passa per dare una leggera spinta alla cesta che così continua a cullare il piccolo che dorme tranquillo.
Veniamo presentati a tutti i membri della grande famiglia e ovviamente in poco tempo in tutto il villaggio si sparge la voce dell’arrivo dei due “stranieri” e questo è un buon motivo per festeggiare. Tutta la famiglia è in fermento per prepararci una degna accoglienza. Cena tipica e ovviamente bevanda tipica. Ad uno ad uno tutti vengono a conoscerci e a salutarci e ad un certo punto ci portano via pure il passaporto…ci dicono che è prassi della polizia del posto. Sarà così? Arriva pure uno zio con un liquore di riso così forte da far bruciare ovunque passa. E si iniziano i festeggiamenti.
Veniamo fatti sedere per terra in mezzo alla grande sala, tutti in cerchio, noi e gli uomini della famiglia…le donne mangiano dopo e separatamente. Solo la nonna siede con noi e mi abbraccia continuamente. Vengono servite molte pietanze diverse e il solito dubbio si insinua…siamo all’inzio del viaggio e pure in moto…ci farà male? Non è educato rifiutare e quindi per forza maggiore cerchiamo di gustare le diversità del cibo locale…e quel che sarà sarà. Lo zio poi ogni tanto vuol fare un brindisi e noi che siamo quasi al limite “fingiamo” di bere con lui.
La nostra guida e la “sua seconda famiglia” hanno un sacco di cose da dirsi e quindi veniamo implorati di dormire lì per dare loro il tempo di raccontarsi tutto. Come dire di no? Il bello di questa grande e unica stanza, tipica delle case vietnamite, è che di giorno funge da grande sala ma di notte viene divisa in tanti vani per mezzo di teli appesi al soffitto. Creano così per noi una stanzetta, ci danno una zanzariera e la nostra coperta personale. Sotto di noi si sente il calore e il rumore degli animali che ancora mangiano. E il bagno? direte Voi………il bagno è fuori in mezzo al campo. L’unica cosa è sperare di non averne bisogno durante la notte. Ma che notte meravigliosa, solo il silenzioso rumore della natura intorno a noi.
La mattina veniamo svegliati col “profumo” della colazione: in pratica le stesse cose serviteci la sera prima. (In Vietnam la colazione tipica consiste nei tagliolini in brodo. In ogni angolo di Hanoi già dalle prime luci dell’alba si possono vedere le donne con il loro pentolone fumante che servono ciotoline di tagliolini ai passanti, che mangiano seduti in minuscoli sgabelli o per terra.)
Cosa molto gradita: viene a salutarci un poliziotto che ci restituisce i passaporti. Evviva!
I saluti sono sempre malinconici anche fra persone che si sono appena conosciute. Veniamo invitati a passare da loro il Capodanno cinese che si terrà in febbraio…magari penso io!
Ci dicono che in Vietnam è buona regola fare un regalo all’ospite che ha dormito nella Tua casa…la coperta! Ci guardiamo stupiti. E’ una immensa coperta imbottita ed essendo in moto, ovviamente, ci è impossibile, anche se con molto dispiacere, accettare questo ingombrante regalo.
Riprendiamo il nostro viaggio…
(“Come spesso capita con le più belle avventure della vita, anche questo viaggio cominciò per caso”. Tiziano Terziani)

24 aprile 2009

Antichi gesti


Camogli, reti della tonnara, marzo 2009

Ogni anno, nel mese di aprile, le reti della tonnara di Camogli vengono calate in acqua, davanti a Punta Chiappa. Ogni anno, i pescatori annodano le nuove reti, stendendole sul molo, dal faro fino al castello.


Camogli, reti dela tonnara, marzo 2009

16 aprile 2009

Di che colore è....


Camogli, Gocce alla finestra, aprile 2009

"Non c’è più niente niente
niente che mi leghi a te
è un grande vuoto
in fondo all’anima
tu dimmi un pò di che colore
è un altro giorno senza te"


E' una giornata di pioggia uggiosa e la canzone di Noemi (sì, quella di X factor) mi rimbalza in testa di continuo. Ma qualcosa di buono l'ho cavato fuori lo stesso: mi piace il gioco delle gocce di pioggia sul vetro e la microscopica vista di Camogli dentro ognuna di esse. Il colore... forse era un po' più grigio. Però di grigio ne ho abbastanza.

Per chi volesse sentire la canzone, questa è Briciole

08 aprile 2009

La perdita di un figlio


India, Varanasi, funerale di un bimbo nel Gange, agosto 2008

La tragedia del terremoto in Abruzzo mi lascia senza parole. Vite distrutte, la perdita di tutto, la ditruzione di ciò che amavano e conoscevano. Ma a tutto si può reagire, con forza e coraggio. Ad una cosa, invece non capisco come potranno sopravvivere: alla perdita dei loro figli. La vista delle madri che piangono i loro figli, o che li cercano, con la speranza nel cuore, mi è insopportabile. A tutto si può sopravvivere, a qualunque dolore, ma non a questo. Il tempo non può rimarginarlo, la mente non può concepirlo, il cuore non può reggerlo. Non può esserci più nulla.

05 aprile 2009

Lavori in corso

Camogli, dicembre 2008

Vorrei capire come mai mi è venuto in mente di cambiare il vecchio modello con il "nuovo" layout. Non ci capisco più nulla. Era così semplice fare le modifiche cn il vecchio sistema! Adesso mi sono persa per strada mezze cose e non riesco più a reinserirle. Ok, ci vuole pazienza! Prima o poi capirò... forse.

24 marzo 2009

Cento monaci


Myanmar, Amarapura, agosto 2007

Pochi giorni fa, in Tibet, sono stati arrestati altri 100 monaci buddhisti, accusati di rivolta contro il governo di Pechino. Cosa questo significhi, è assolutamente ovvio. I monaci saranno incarcerati, torturati, trattati in maniera del tutto disumana. Ne usciranno pochi da quelle prigioni. Le testimonianze di chi è riuscito ad essere liberato e ha lasciato la Cina sono terribili.
In un mondo diverso, i soldi non potrebbero contare così tanto da continuare ad avere rapporti di qualunque genere con una nazione che sta mettendo in atto un genocidio e un annientamento culturale così radicale. Quanto siamo ipocriti quando ci preoccupiamo dell'estinzione di strane razze di insetti del tutto sconosciute e poi continuiamo a far finta di nulla davanti a tutto questo?

20 marzo 2009

Lo zio Ho


Vietnam

Quello che segue, è un altro dei bei racconti di viaggio di Consuelo e stavolta anche l'immagine è sua. Gustatevelo.

"Dicembre 2003. Vietnam del Nord. Viaggiamo in sella alla mitica Minsk russa in un periodo nel quale il fango la fa da padrone. Mi hanno dato un casco nel quale ci sto tre volte ed ogni volta che prendiamo una buca, e sono tante, rischio di perderlo. Siamo tre moto: una è la nostra; una della nostra guida che ci accompagnerà in questa nuova avventura e una di una futura nuova guida che deve imparare il mestiere. Non è decisamente il periodo delle risaie verdi e rigogliose ma il paesaggio è lo stesso emozionante.
Ci fermiamo al primo “autogrill” che altri non è che un piccolo ristorantino in uno sperduto villaggio. Non è stata certo un’entrata trionfale la nostra: all’interno pochi uomini ingoffati nei loro cappottoni pesanti e il berretto in stile militare, sguardi scuri, truci, non un cenno di saluto, non una parola né un minimo movimento del corpo. Ci sediamo in sedie piccolissime davanti ad un minuscolo tavolino e, ovviamente, la nostra guida ordina per noi. E intanto loro continuano a guardarci. Ancora più ovvio che non ci siano posate ed è durissimo tentare di mangiare con le bacchette. Per il mio compagno ogni boccone è una prova terribile e volano pezzi di cibo in ogni dove. Ma loro nulla, ci guardano duri come sempre. Intanto nel piccolo televisore in fondo alla saletta passano immagini tristi, accompagnate da una musica malinconica ma nello stesso tempo rigorosa direi quasi militaresca. “Ecco cos’è!” dico….”Il funerale di Ho Chi Minh!”. La Signora che ci aveva servito sentendo le mie ultime parole si illumina in volto e tutta orgogliosa finita la cassetta ce la rimette su da capo. “Aiuto, un'altra volta!” penso io…ma intanto un passo in avanti verso la nostra accettazione l’abbiamo fatto. Nel Vietnam del Nord infatti il ricordo di Ho Chi Minh è ancora molto forte e da tutti viene amichevolmente chiamato “Lo Zio Ho”.
Ad un certo punto, e finalmente, il mio compagno riesce nell’impresa di portarsi un boccone di cibo alla bocca…beh tutti si alzano e gli battono le mani. Un’ovazione. Amicizia fatta?
“Un popolo che si è opposto coraggiosamente alla dominazione francese per più di
ottanta anni, un popolo che ha lottato fianco a fianco con gli Alleati contro i Fascisti durante questi ultimi anni, tale popolo deve essere libero e indipendente” Ho Chi Minh – Dichiarazione d’Indipendenza del Vietnam”

05 gennaio 2009

India - Pakistan


India, Punjab, Attari, agosto 2008

Negli ultimi anni della colonizzazione britannica, mentre Ghandi predicava la tolleranza ("Chi arriva al cuore della propria religione, arriva al cuore di tutte"), si fece largo l'idea che i musulmani avrebbero dovuto avere una loro nazione indipendente. Questa idea fu quella che prevalse e così gli inglesi si misero all'opera per stabilire i difficilissimi confini fra le nazioni a venire. Quando gli inglesi lasciarono l'India, non solo questa acquistò la sua indipendenza, ma anche il Pakistan. Il 14 agosto 1947 segnò l'inizio della nuova nazione (che allora era composta da un Pakistan a est, l'attuale, e dal Pakistan occidentale, che poi divenne il Bangladesh nel 1971). L'evento, che prese il nome di Partition, fu traumatico e da un giorno all'altro migliaia di famiglie indù che si trovavano nel Pakistan furono depredate, uccise, costrette a fuggire verso l'India, perdendo tutto (si raccontano alcuni episodi in numerosi libri, fra cui "Giochi Sacri" e "Delhi"). Lo stesso avvenne dall'altro lato del confine, dove i musulmani venivano cacciati, uccisi, costretti ad abbandonare le loro abitazioni e a dirigersi verso il Pakistan.
Da allora, pare che l'intolleranza e l'odio non si siano mai sopiti, pronti a esplodere in qualunque momento, come è avvenuto solo poche settimane fa a Mumbay.
La cerimonia della chiusura notturna del confine Indo Pakistano ad Attari è stata per me la prova di quanto il nazionalismo sia forte e tendenzialmente violento, da entrambe le parti. Migliaia di persone ogni sera assistono a questa cerimonia: una specie di balletto fra soldati con uniformi praticamente identiche , ma di diverso colore: kaki le indiane, nere le pakistane. Da una parte e dall'altra il pubblico incita urlando "Hindustan Zindabad" e di là rispondono "Pakistan Zindabad". Persino con la musica gareggiano a chi la fa suonare più forte. Il pubblico si alterna a portare la propria bandiera fin sotto il cancello della nazione "avversa", e lungo la strada tutti ballano al suono di canzoni nazionaliste. Dopo ore di questo spettacolo, la cerimonia si chiude in pochi minuti, in cui le due bandiere vengono alzate alla stessa altezza (nessuna delle due deve superare l'altra) e poi riabbassate e piegate. I soldati si stringono la mano e il cancello si chiude. A questo punto la folla urlante dei patrioti si lancia in corsa verso il cancello a mostrare le proprie bandiere e ad urlare.
Uno spettacolo orribile, ma che valeva la pena vedere, perchè dà la misura di una follia della quale non ci si rende normalmente conto.


India, Punjab, Attari, agosto 2008

02 gennaio 2009

Argento e rosso

India, Rajasthan, Al mercato di Bundi, agosto 2008

Anche queste donne le incontrammo ad un mercato. Fui colpita dai pesanti bracciali d'argento e dalle splendide sari. Se penso a come ci vado io al mercato... meglio lasciar perdere. Spero di riuscire a farvi sentire una canzone mentre guardate questa immagine, così per potervi immergere di più nell'atmosfera di quel momento. C'è qualche anima buona che mi insegna a far aprire il link in un'altra finestra?

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