17 dicembre 2009

Il primo passo


Indnesia, Sumatra, Bukit Lawang, agosto 2009

Quando misi il piede fuori di casa, non c'era nulla di strano. Tutto era come al solito. Percorrendo la solita strada, scesi verso la stazione, come ogni giorno. Salutai le solite persone, i soliti amici. Dove vai? Parto. Stavo facendo il primo piccolo passo, ma era uguale ai mille altri passi di ogni giorno. Solo che quel passo mi avrebbe portato lontano. Non saprei come descrivere questa strana sensazione: che la normalità dei gesti racchiudeva invece la bellezza della partenza, l'emozione del "stasera chissà dove sarò". E poi ancora: la stazione di Camogli, le chiacchiere mentre aspettavamo il treno, gli amici incontrati per caso. Il solito treno che parte in ritardo, il solito tragitto fino a Genova. E' solo entrando in aeroporto che l'aria cambia, che arriva la consapevolezza.
E poi tutto accelera e così mi ritrovo a scrivere la prima frase sul mio quaderno intatto: "Quanto tempo ci vuole fra la stazione di Camogli e la giungla di Sumatra?". Assurdo e azzardato come collegamento, se non fosse che sono sotto una tenda, in mezzo alla giungla, nel buio più profondo, con una ranocchia minuscola a far da guardia contro le zanzare.
E' stato un attimo arrivare a Jakarta già con il programma di viaggio sconvolto dalla decisione di non restare lì, ma di andare a Sumatra. E poi, arrivati lì, andar via di nuovo fino a Bukit Lawang, a nord. Il pullman con la ruota di scorta al posto dei passeggeri e i ragazzi che salgono sopra a vendere cibo mi danno il benvenuto in Asia. Adesso lo so: sono arrivata. Due ragazzi con una pseudo acconciatura rockettara salgono a suonare la chitarra. Follie che solo qui si trovano. Un uomo ci si siede accanto e comincia a parlare. Poi ci racconta di essere una guida del parco naturale di Bukit Lawang. Piano piano si fa avanti con i suoi veri scopi, ma del resto ha tempo di farlo con calma: il viaggio dura 4 ore. Alla fine so per certo che non c'è modo di scampare alla gita nella giungla e così mi rassegno. Non mi sento particolarmente in forma per affrontarla così di colpo: dalla scrivania ai sentieri... Eppure la mattina dopo mi ritrovo di partenza con uno zaino che contiene poca biancheria di ricambio, un Kway, la macchina fotografica e una bottiglia d'acqua. Per sette/otto ore ci ritroviamo a seguire la nostra guida, Sunny, che con allegria ci porta in mezzo alle liane, alle ragnatele giganti e su e giù per i sentieri, ma anche molto fuori dai sentieri, per cercare gli oranghi. E gli oranghi li troviamo, anche molto vicini, grandi, belli, con i loro sguardo intenso.
Alla fine le gambe mi tremano per la fatica. Le ginocchia non mi reggono più. Se non arriviamo all'accampamento sento che comincerò a scivolare sui sentieri fangosi. Mi reggo alle liane e alle radici degli alberi fino a che, finalmente arriviamo al fiume. Qui è già pronto l'accampamento. Insomma, è pronto un tendone posato su dei pali. Sotto i tappetini, simili a quelli per la ginnastica, saranno i nostri letti. Un uomo ci ha preparato il tè e sta cuocendo la cena su un fuoco. Appena scende il buio, al lume di piccole candele, lì, in mezzo al nulla, mangiamo riso, verdure e pollo. Poi ci raccontiamo storie di giungla e di animali. Sunny li imita tutti. Quando si spengono le risate e le candele, comincia l'impresa più dura: dormire per terra!


Indonesia, Sumatra, Orango allo stato libero, agosto 2009

07 dicembre 2009

Ancora qui.


Bali, Goa Lawah, agosto 2009

Ci voleva il ponte e le giornate di pioggia per farmi tornare qui. Il tempo mi è scappato senza che me ne accorgessi e le mie pagine continuavano a restare vuote.
I saluti ad agosto e poi... siamo già a dicembre.
Che dire adesso? Le impressioni si sono maturate, le immagini fanno già parte dei ricordi. Però sono tutte lì, chiarissime, forti. Parlano di visi, di storie strane, struggenti, di popoli lontani, di abitudini diverse, di linguaggi nuovi e antichi. Hanno il sapore della scoperta. Ed io spero di riuscire a raccontarvela, almeno un pò.

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