16 gennaio 2008

Risciò


Myanmar, Mandalay, agosto 2007

Ci sono mestieri faticosissimi, mestieri che da noi non esisterebbero assolutamente. Un esempio è il guidatore di risciò. A Mandalay i risciò sono delle biciclette, con attaccato lateralmente un carretto con una poltroncina. Spostando il cuscino, i posti a sedere diventano due. Le persone trasportate viaggiano schiena contro schiena, mentre il guidatore pedala duramente. Un mestiere, come dicevo, faticosissimo, soprattutto quando i passeggeri sono due grossi occidentali. La prima reazione fu inesorabilmente un rifiuto. Come potevo lasciare che un uomo più esile o quasi di me (e chi mi conosce sa che è tutto dire!), pedalasse per trasportarmi da qualche parte? Per carità, avrei preso un taxi, un tuc tuc, ma non quello! Ma era un errore e l'ho capito presto. I mezzi di trasporto, spesso davvero fantasiosi, quasi mai sono di proprietà del guidatore. Ci sono dei boss. Gli uomini spesso lasciano le famiglie, che vivono lontano, nei villaggi, per andare dal proprietario di quei mezzi a chiedere di poter lavorare. Quell'uomo che pedala un risciò ottiene la sua provvigione a seconda di quanto riesce a lavorare e delle mance che ottiene. Con questo lui mantiene se stesso e la sua famiglia. Per questo spesso pur di ottenere un lavoro promettono trasporti veramente impossibili, ma non bisogna mai scordarsi che quel lavoro onesto è per loro un motivo di orgoglio. Capito questo, di questi risciò, e di biciclette e di carretti di ogni genere, ne abbiamo presi davvero molti!

11 gennaio 2008

Dove si esaudiscono i desideri.


Yangon, Shwedagon Pagoda, il luogo dove si esaudiscono i desideri, agosto 2007

La Shwedagon Pagoda è il simbolo di Yangon. Il suo zedi si innalza a ben 98 metri ed è interamente coperto d'oro. Si tratta di un luogo di culto fra i più sacri del Myanmar e come tale è vissuto quotidianamente dai birmani. Secondo la leggenda, all'interno dello zedi sono custoditi 8 capelli di Buddha, ma chi può dire? Tutta l'Asia è costellata di templi che custodiscono capelli o denti!
Di fatto le reliquie custodite all'interno non sono visibili. Narra la leggenda che quando lo scrigno che li racchiude fu aperto all'epoca della costruzione della pagoda, successero mille prodigi e la terra tremò.
Ma ovviamente ogni angolo della Pagoda racchiude i suoi segreti e le sue leggende. C'è il Buddha dagli occhi azzurri che sembra fissarti come fosse vero, il tempietto dal quale, sporgendo l'orecchio, si sente il rumore dell'acqua del fiume santo in cui Buddha si lavò la testa e che scorre sotto la cupola, ci sono i punti planetari, gli altari dei segni zodiacali... E c'è il luogo dove si esaudiscono i desideri, quello della foto. C'è una stella disegnata dalle pietre sul pavimento. Ci si può inginocchiare lì dentro e pregare. I desideri espressi lì si avvereranno.

07 gennaio 2008

Perchè i pesci non affoghino


Birmania (Myanmar), Mercato sul Lago Inle, agosto 2007

Ci voleva l'influenza di inizio anno perchè il mal di testa mi facesse lasciare i miei mallopponi su fotografia e Photoshop per riprendere in mano un libro che avevo appena iniziato tempo fa e poi quasi dimenticato. Un libro che era arrivato in casa grazie alla segnalazione di una cara amica e che io adesso vorrei a mia volta segnalare a chiunque abbia il caso di passare di qui e la voglia di leggere: "Perchè i pesci non affoghino". E' il romanzo di una scrittrice cinese, ambientato in Birmania, e ispirato dal reale fatto di cronaca della scomparsa di 11 turisti americani sul lago Inle, avvenuta anni fa. Il libro è sicuramente molto romanzato, ma è anche ricchissimo di informazioni, piacevole e istruttivo allo stesso tempo. Imperdibile per chi (si conteranno sulle dita di una mano??) voglia intraprendere un viaggio in Birmania o ne sia tornato.
Il singolare titolo parte da un aneddoto raccontato dalla guida ai turisti, colpiti dal fatto che nel mercato che stavano visitando erano esposti pesci ancora agonizzanti. L'aneddoto così racconta:
Un uomo pio spiegò ai suoi discepoli:
-Togliere la vita è un'azione malvagia, salvare una vita è un'azione nobile. Ogni giorno giuro di salvare cento vite. Getto la rete nel lago e la ritiro con dentro un centinaio di pesci. Metto i pesci sulla riva, dove si contorcono e si dibattono goffamente.
- Non abbiate paura-dico loro- Vi ho salvato impedendo che affogaste". Poco dopo i pesci si calmano e restano immobili. Eppure, è triste dirlo, arrivo sempre troppo tardi. I pesci muoiono. E siccome ogni spreco è un male porto i pesci morti al mercato e li vendo ricavandone un certo guadagno. Con il denaro compro altre reti, così potrò salvare un maggior numero di pesci.

Bizzarra storia, sicuramente esemplare del complesso, ma anche raffinato modo di vedere il mondo dei popoli orientali. Così come tutto il libro è esemplare nel raffrontare, sebbene sempre con leggerezza, l'incontro tra persone appartenenti ad una società in cui la forma, il simbolismo, la sacralità, la fede e la magia fanno parte del quotidiano e altre (i turisti, noi...) in cui la superficialità, l'ignoranza e il denaro sommergono tutto.

"Perchè i pesci non affoghino"
Di Amy Tan
Edizioni Feltrinelli.

01 gennaio 2008

Il mondo è un posto piccolo


Myanmar, Yangon, Giovane monaco alla Shwedagon Pagoda, agosto 2007

Il mondo è un posto piccolo e siamo tutti più vicini di quanto sembri, tutti legati, in un modo o nell'altro. Il destino di chi ora soffre nelle prigioni di qualche paese, che ci sembra troppo diverso o troppo distante per riguardarci, può coinvolgere le nostre vite nel giro di un attimo. Per questo il mio augurio per quest'anno è quello di non dimenticare, di non far finta di nulla, di combattere la nostra indifferenza, con la consapevolezza che questo è certamente un buon inizio.

26 dicembre 2007

Pace


Myanmar, Rangoon, Shwedagon Pagoda, agosto 2007

Non è un'immagine natalizia, ma ancora un flash dei miei ricordi: sono le mani che accendono candele in offerta a Buddha nella Shwedagon Pagoda di Yangon (o Rangoon, come ancora dice chi non accetta il cambio di nome imposto dal regime militare). Ma quelle mani e quei gesti sono per me inscindibilmente legati al senso di pace, di serenità e al silenzio del contatto con la propria anima. E' per questo che quelle mani sono, per me, Natale. Non lo sfarzo dei regali, la ricchezza delle luci, la raffinatezza delle tavole, ma le mani ossute e ruvide che offrono la luce di una candela, il senso di un'illuminazione che arriva prima da dentro se stessi per poi mostrarsi al mondo. Auguri.

25 novembre 2007

S 21


Cambogia, Phnom Phen, Prigione S21, agosto 2005

Ho sempre avuto dei problemi a visitare quei luoghi in cui sono accadute cose terribili. Ero solo una ragazzina quando mi trovai con i miei genitori davanti ai cancelli di Mathausen e non riuscii a varcare la soglia. Allo stesso modo sono rimasta impietrita quando sono entrata, solo due anni fa, nel cortile della prigione S21.
Le proporzioni del genocidio che è accaduto in Cambogia fra il '75 e il '79 non sono molto conosciute qua da noi, ma furono terribili. E la strage avvenne con modalità che farebbero raccapricciare anche i più avvezzi alle scene dei film dell'orrore. Pochissimi di coloro che finirono nelle mani dei Khmer rossi riuscirono a sopravvivere e ancora oggi quel periodo è una ferita sanguinante nel cuore della gente, che non ne vuole parlare. I carcerieri erano bambini o adolescenti, perchè più facili da plagiare. Una volta fatto loro il lavaggio del cervello, quei ragazzini non avvertivano alcuno scrupolo morale, nulla che potesse impedire loro di imprigionare, torturare e uccidere chiunque, compresi i membri delle loro stesse famiglie. La prigione più temuta era la S21, situata a Phnom Phen ed era stata ricavata da una scuola. L'arrivo è sconvolgente. Chi è stato in oriente conosce la tipica struttura a ferro di cavallo delle scuole, costruite in genere su due piani, con aule che si affacciano sul cortile interno con un terrazzo che gira intorno al piano. La scuola di Tuol Sleng è esattamente come le altre, con un cortile interno e delle piante. Ma in mezzo al cortile si trovano 14 tombe. Sono quelle degli ultimi prigionieri uccisi a Tuol Sleng: l'esercito vietnamita era già entrato a Phnom Phen, ma lì ancora i carcerieri stavano facendo il loro lavoro. Li trovarono morti, tutti e 14, con le caviglie strette nei ferri, legati a letti come quello della foto, che riprende una delle celle. C'erano poi lunghi corridoi, dove i prigionieri (e ce ne sono passati migliaia) erano legati ad un'unica sbarra di ferro. Una caviglia era infilata in un ferro a U che poi era bloccato alla sbarra. Stavano stesi a terra, ammassati l'uno sull'atro, finchè un carceriere bambino non veniva a prenderli per torturarli. Come i nazisti, i Khmer Rossi hanno fotografato le persone che avevano catturato, alcune con orrendi "prima" e "dopo" le torture. Queste foto sono visibili al piano superiore della prigione, in una galleria di visi straziante, dove non è raro trovare anche bambini.
Lo scorso anno, finalmente, è stata composta la giuria che dovrà giudicare e condannare chi ha commesso tali atrocità e nell'ottobre e novembre di questo anno sono arrivate le prime condanne. Sicuramente è una condanna che si è fatta troppo attendere. Sicuramente pochi ormai ricordano, pochi sanno, pochi vogliono sapere. Ma, per chi non volesse far finta di niente e avesse desiderio di conoscere i fatti, Feltrinelli ha da poco fatto uscire un libro e un DVD intitolati "S21. La macchina da morte dei Khmer Rossi". Adatto sicuramente a chi più di me ha il coraggio di guardare.

15 novembre 2007

Occhi pensosi


Myanmar, da qualche parte fra Kyaiktyo e Bago, agosto 2007

Una foto che amo molto. L'espressione di quegli occhi è indelebile nella mia mente. Immagino adesso una intera nazione con quegli stessi occhi, una nazione che ha cibo in abbondanza, ma dove tuttavia la gente soffre la fame; dove l'alimento principale, il riso, ha prezzi che salgono così alti da lasciare intere famiglie prive del necessario. Eppure non mancherebbe.

10 novembre 2007

Monsoon


Myanmar, Rangoon, Sule Pagoda, agosto 2007

Agosto è la stagione dei monsoni. Il cielo è bianco e in certi luoghi è carico di pioggia. Lo scroscio cade improvviso, forte, come secchiate d'acqua che ti investono. Pochi però se ne preoccupano, se non gli stranieri. La pioggia è calda e dura poco. Appena smette di cadere, il caldo asciuga tutto in un attimo, compresi i vestiti.
Questa foto è stata una delle prime scattate in Birmania, la sera stessa dell'arrivo. Il monaco si protegge con uno dei bellissimi ombrelli in carta di Phatein e con le scarpe in mano, continua tranquillissimo a camminare intorno alla Sule Pagoda.

01 novembre 2007

Ancora in marcia


Myanmar, Amarapura, agosto 2007

Ieri, una nuova processione di monaci ha sfilato per le strade di Pakokku. Si tratta di una piccola cittadina a nord di Rangoon, dove sono situati circa 80 monasteri. Le marce erano iniziate proprio da lì nello scorso settembre. La marcia si è svolta pacificamente, a quanto si legge nel sito dell'Irrawaddy. I monaci hanno sfilato cantando, e questo è stato il loro canto, il "Metta Sutta":

Così dovrebbe agire chi pratica il bene
e conosce il sentiero della pace:
essere abile e retto,
schietto nel parlare, gentile e umile,
dalla vita frugale, non gravato da impegni,
sereno, soddisfatto con poco,
calmo e discreto,
non altero o esigente.

E non fare ciò che i saggi disapprovano.

Che tutti gli esseri vivano felici e sicuri,
tutti, chiunque essi siano:
deboli o forti,
lunghi o possenti,
alti, medi o minuscoli,
visibili e non visibili,
vicini e lontani,
già nati o ancora non nati.

Che tutte le creature siano felici!

Che nessuno inganni l'altro,
né lo disprezzi,
né con odio o ira
desideri il suo male.

Come una madre con la sua vita
protegge suo figlio, il suo unico figlio
così con cuore aperto
si abbia cura di ogni essere,
irradiando benevolenza sull'universo intero,
in alto verso il cielo, in basso verso gli abissi,
in ogni luogo senza limitazioni,
liberi da odio e rancore.

Fermi o camminando, seduti o distesi,
sempre quando si è svegli,
mantenere desta questa consapevolezza:
tale è la sublime dimora.

Il puro di cuore, non legato ad opinioni,
dotato di chiara visione,
liberato da brame sensuali,
di certo non tornerà a nascere in questo mondo.



E adesso i soldati, di nuovo, li stanno cercando nei loro monasteri.

31 ottobre 2007

Malinconica purezza


Myanmar, Taungbyon, agosto 2007

Volevo commentare questa foto, ma oggi non trovo le parole giuste. Godetevela così com'è. Le spiegazioni verranno... prima o poi....

19 ottobre 2007

Quando i monaci passeggiavano a U'Bein


Myanmar, Amarapura, ponte di U'Bein,agosto 2007

Solo un paio di mesi fa i monaci birmani con le loro vesti rosse coloravano ogni strada ed erano immancabili in qualunque posto fosse anche solo un pò rappresentativo del Paese. Il ponte di U'Bein, ad Amarapura, antica capitale, vicino alla città di Mandalay era uno di qui posti. Una delle imagini più belle della Birmania è proprio quella del profilo del ponte al tramonto, con i monaci che lo attraversano.
I monaci in Myanmar sono circa 400.000, pari al numero dei soldati dell'esercito birmano. Durante la repressione delle proteste i soldati hanno fatto raid notturni nei monasteri. Adesso i monaci sono spariti ovunque. Si legge nelle poche notizie che filtrano, che le lunghe processioni mattutine per l'elemosina del riso sono ridotte a pochi monaci, laddove, solo un paio di mesi fa, migliaia di piedi scalzi si incolonnavano per le strade di ogni città alla prima luce del sole.
E i raid continuano ancora.

13 ottobre 2007

L'impudicizia del regime


Myanmar, Mingun, agosto 2007

L'ultima notizia letta in un trafiletto di giornale è che in Birmania sono stati arrestati 5 generali e 400 soldati. Il motivo è la disobbedienza agli ordini, per essersi rifiutati di sparare sui monaci nei giorni della rivolta pacifica.
I valori morali sono ribaltati e il potere mostra la sua strafottenza senza nessuna vergogna.

08 ottobre 2007

Mandalay Hill


Myanmar, Mandalay, agosto 2007

Sulla collina di Mandalay, mentre salgo su fino alla cima, sugli oltre 1700 scalini, mi trovo immersa nella vita delle persone che abitano lì intorno. E' questa la magia di quella collina: non il panorama, non il santuario, ma la salita. Le case si affacciano sul sentiero e sui gradini e la vita si svolge davanti ai miei occhi, naturale. C'è chi cucina, chi vende, chi gioca, chi mangia e chi dorme. Il letto è una panca di legno, non c'è materasso, non ci sono lenzuola. Il corpo magro e contratto parla di una vita senza illusioni.

04 ottobre 2007

E li chiamano "volontari" (1081081081234)


Myanmar, Bagan, agosto 2007

La Birmania è un paese ricco. Ha rubini, gas metano, petrolio, tek. Ciò nonostante il governo, per non spendere nei lavori pubblici, puntualmente recluta "volontari" nei paesi per sistemare strade o costruire opere pubbliche. Ovviamente gratis. Chi non si presenta a lavoro, ne subisce le conseguenze. E così, queste immagini sono tutt'altro che rare. I "volontari" sono in gran parte donne, a volte solo ragazzine.



Free Burma!

02 ottobre 2007

I tuoi occhi nei miei.


Myanmar, Taungbyon, agosto 2007

Le notizie sul Myanmar stanno scivolando in seconda pagina. Inevitabile: il regime sta chiudendo tutti i canali, dà la caccia a chi ha una telecamera o una macchina fotografica, internet non funziona, i giornalisti spariscono senza lasciare traccia. Le notizie non passano e piano piano non c'è più nulla da scrivere. Persino l'inviato ONU non riesce a comunicare i contenuti dei colloqui al di fuori del Myanmar.
Ma io non riesco a non pensarci. Non posso non pensare alle mille persone incrociate nei paesi e nelle città e domandarmi dove sono, se sono salve. Quella della foto è una piccola monaca di Mandalay. L'ho incontrata a Taungbyon, durante una grande festa dei Nat, gli spiriti protettori. In mezzo alla calca della gente che si spingeva, ballava, saltava e portava offerte, lei mi guardava, immobile, con i suoi grandi occhi. E ora ditemi se quegli occhi si possono dimenticare.

28 settembre 2007

Dove sono i nostri monaci?


Myanmar, Amarapura, agosto 2007

Per le strade di Yangon non ci sono monaci. Li hanno presi durante la notte dai monasteri, picchiati, imprigionati. Gli studenti in strada stamani gridano davanti il filo di ferro: "Dove sono i nostri monaci?"

27 settembre 2007

La marcia dei monaci rossi


Myanmar (Birmania), Amarapura, agosto 2007

Le notizie dalla Birmania mi colpiscono come un pugno allo stomaco. Nei visi che appaiono sulle foto dei giornali cerco di capire se ci sono persone che ho conosciuto: il tassista che ci portava in giro per quei viali, fra la Sule e la Shwedagon, o il monaco Agga che ci aveva mostrato i colori del diamante della Shwedagon, oppure quei bimbi con la testa rapata e i vestiti rossi, monaci, ma pur sempre bimbi.
Leggo le notizie sul sito del giornale The Irrawaddy (www.irrawaddy.org) che sono molto più aggiornate delle nostre e mi sgomento a vedere posti che riconosco benissimo macchiati di sangue. Il nostro Hotel a Yangon era davanti alla pagoda Sule, quella dove sono avvenute le prime uccisioni.
Guardo le file dei monaci e la gente che fa loro da scudo e il loro coraggio mi ammutolisce. Vorrei, con tutta la mia forza, vorrei che stavolta vincessero, che la carneficina finisse e loro fossero finalmente fuori pericolo e liberi.

13 settembre 2007

Il sorriso della Birmania



Myanmar, Bagan, Agosto 2007

Il ritorno non è mai facile. A dire il vero era proprio il momento. Tre settimane di notti passate su pulman scomodi, carretti e taxi blu, con le loro corse per strade scassate, scale e salite, monti e colline erano stati sufficienti a farmi trascinare i piedi a ogni passo in più. Ero stanca davvero. Tuttavia, quando il muso dell'aereo ha forato l'ultimo velo di nuvole, che, richiudendosi dopo il nostro passaggio, ha nascosto Yangon alla mia vista, ho sentito il solito magone. Le usuali domande hanno subito fatto capolino nella mia testa: tornerò? La vedrò ancora la Shwedagon dorata? Li sentirò ancora i campanelli della Golden Rock? Passeggerò ancora con la carrozzella per i viottoli di Bagan?
Infondo il Myanmar (la Birmania) è stata una sorpresa. Mi aspettavo un posto dove il peso della tirannia militare del governo si facesse sentire ad ogni passo, in ogni angolo, in ogni aspetto della vita. Invece, il calore e il sorriso ci hanno avvolti fin dal primo momento. Il Myanmar è un paese dove non ci si può sentire estranei, tanta è la gentilezza, la dolcezza, l'accoglienza della gente. Persino l'allegria.

04 agosto 2007

Madurai e il tempio di Sri Menaksi


India, Tamil nadu, Madurai, preghiere ad Hanuman
nel tempio dello Sri Menaksi, agosto 2006


"E' sera, il sole non è ancora tramontato che già piccole lampade si accendono intorno al grande tempio di Madurai, lungo il viale coperto da volte di granito che funge da vestibolo, dove si accalcano i venditori di ghirlande. Quando, come me, si arriva da fuori, l'improvvisa penombra confonde ogni cosa: uomini, idoli e mostri, figure umane e smisurate figure di pietra. i gesti immobili dei personaggi dalle innumerevoli braccia e i movimenti veri di quelli che ne hanno solo due. Ci sono anche alcune vacche sacre (...) che, prima di rientrare nel tempio a dormire, si attardano a masticare giunchi e fiori" - Pierre Loti- 1900

Questa bella descrizione del tempio dello Sri Menaksi di Madurai risale all'inizio dello scorso secolo, ma anche oggi non molto è cambiato. Sotto le volte della cinta intorno ai sacrari, la gente si muove in mille attività. C'è chi vende frutta e verdura in mezzo ai volti di pietra di antichissime divinità, chi per pochi centesimi ti cuce un vestito in mezz'ora. Ed infatti, lungo una galleria decorata da splendide sculture, decine di sarti, nella penombra, muovono altrettante macchine da cucire, vecchissime, di quelle a pedale.
Entrando nel cuore del tempio, l'atmosfera cambia. il buio avvolge saloni dai soffitti altissimi, colonne scolpite, rese rosse dai pigmenti con cui si onora il dio e annerite dal fumo delle offerte. In un angolo, un uomo vende piccole ciotole di terracotta riempite di ghee (una sorta di burro chiarificato), usato non solo per cucinare, ma anche per bruciare, come fosse una candela. Da piccoli fori nei soffitti squarci di luce filtrano, formando raggi lunghissimi, fino al suolo. La gente ci passa in mezzo, senza neppure accorgersi dello spettacolo magnifico che offre. Una colonna d'oro altissima arriva fino oltre il tetto, forandolo. La luce lo illumina: è un lingam, simbolo di fertilità.
Molte donne pregano davanti a colonne in cui sono raffigurati Dei diversi. Da una parte Ganesh, dall'altra Hanuman. Davanti all'effige di quest'ultimo bruciano molte ciotole di ghee. La colonna è diventata rossa. Le donne girano intorno tre volte e intanto recitano parole che non capisco.
Il sacrario dl tempio è vietato ai non Hindu. Uno sguardo rubato oltre i cancelli, rivela giganteschi elefanti di pietra e di nuovo quei giochi di luce e di fumo che rendono l'atmosfera incantata.


India, Tamil Nadu, Madurai, preghiere nel tempio dello Sri Menaksi, agosto 2006

04 luglio 2007

Magia d'Oriente


India, Tanjore, agosto 2006

Vi conosco, voi italiani. Vi piace tanto la Birmania perchè qui fate un bagno di esotismo. Le vostre letture di gioventù, i vostri Kipling qui diventano realtà, prendono corpo. Vi pare che l'Oriente, con il suo fascino, non sia morto del tutto, che possa ancora farvi emozionare. Vi sembra che la gente sia così gentile perchè è nella sua natura esserlo. Ma la verità è che siamo così poveri e che ci chiniamo di fronte a voi solo perchè siete più ricchi. Noi siamo solo rimasti più indietro, il nostro passo è stato più lento a causa di una serie di sfavorevoli circostanze politiche interne e internazionali. Ma quando riguadagneremo il tempo perduto allora il nostro paese non vi piacerà più, perchè sarà sempre più simile all'Occidente.


Così si legge nel racconto di viaggio "Birmania" di Aldo Pavan.
E' una frase, questa, che mi crea una tristezza infinita, perchè è una frase che non lascia scampo. L'inesorabile cammino del progresso sembra dover passare per forza attraverso la distruzione del fascino, della cultura, della vita orientale, per assumere i modelli occidentali come gli unici possibili, gli unici che possano consentire una vita più comoda a quelle popolazioni poverissime. Ma i modelli occidentali che arrivano fin là non sono quelli della cultura del rispetto della vita, dell'ambiente, delle tradizioni, della storia e della diversità, che pure sono nostri. Quelli che arrivano sono i modelli della ricerca ad ogni costo della richezza, dello sfruttamento di ogni risorsa, ambientale e umana, della cementificazione e della industrializzazione alienante, della trasformazione della propria tradizione e cultura in fenomeni da baraccone, in specchietti per turisti allodole.
E tutto questo è sicuramente peggio della colonizzazione militare dei secoli scorsi.
Mi domando se davvero tutto questo sia inevitabile, se sia davvero solo utopia sperare che un giorno i nipoti dei miei nipoti possano ancora stupirsi di fronte alla magia di un oriente, che abbia trovato la sua propria via allo sviluppo.

LinkWithin

Related Posts with Thumbnails